La Mostra
Il luogo
Difficile immaginare un luogo più adatto della Fortezza Orsini di Pitigliano per ospitare una grande mostra su Leo- nardo da Vinci. Costruita a partire dal 1465, la Fortezza Orsini è infatti figlia dell’epoca leonardiana (Leonardo da Vinci era nato nel 1452) e rappresenta uno splendido esempio di architettura militare rinascimentale. A partire dal 1520 venne ampliata da Gianfranco Orsini che si avvalse di Antonio da Sangallo il Giovane dandogli in pratica l’aspetto che vediamo adesso. Passata ai Medici nel 1604 e quindi ai Lorena, dal 1777 è divenuta residenza vescovile. Gli ex Granai che ospitano la mostra sono stati adibiti a polo espositivo in epoca recente, splendido esempio di ri- conversione a fini culturali di uno spazio di grande valore storico e simbolico.
Una Mostra irripetibile
Tutto il Genio di Leonardo da Vinci in una mostra irripetibile con oltre cinquanta modelli di macchine fedelmente riprodotte dai Codici grazie allo studio e al lavoro degli artigiani fiorentini della famiglia Niccolai. Una mostra interattiva con laboratori per i più piccoli per scoprire giocando l’universo di idee e in- tuizioni di Leonardo da Vinci: un viaggio unico nella mente del più grande Genio della storia e in un’epoca, il Rinascimento, che ha messo l’uomo al centro dell’universo. Tutto questo in un luogo unico come Pitigliano e la sua Fortezza Orsini costruita proprio negli anni in cui viveva Leoanrdo da Vinci...
Non solo Arte
Leonardo e la cultura delle macchine
Le botteghe d’artista, specie alla metà del Quattrocento, erano vere e proprie scuole, dove si apprendevano i rudimenti di ogni tecnica conosciuta all’epoca. La commistione tra arte e tecnica era una caratteristica di questo tipo di botteghe rinascimentali: qui si andavano combinando pittura, scultura, ingegneria ed architettura. Per questo motivo Leonardo, autodidatta e mal istruito, compierà una crescita notevole presso il Verrocchio. La sua inclinazione alla natura, allo studio dei fenomeni, nato prima come interesse di giovane ragazzo che esplorava il mondo circostante, lo portò a indagare i principi della meccanica e dell’ingegneria. Sicuramente, Leonardo ha osservato e riportato nella sua mente le grandi macchine utilizzate per il cantiere della cupola di Santa Maria del Fiore dal Brunelleschi, forse il primo ingegnere rinascimentale tout court, in quanto, parallelamente con il recupero dell’arte classica per la pittura e la scultura, anche l’ingegneria e l’architettura si impreziosirono delle complessità delle macchine descritte nell’antichità, del quale Brunelleschi è stato uno dei massimi esponenti.
Questa "cultura delle macchine", che a Firenze vide attivo Brunelleschi e di conseguenza una stregua di seguaci, tra cui annoveriamo un giovanissimo Leonardo da Vinci, impegnato in prima persona assieme al maestro Verrocchio nel compito di posizionare l’enorme palla di rame al culmine della cupola brunelleschiana nel 1472, non fu però prerogativa fiorentina, ma si sviluppò e trovò un grande impulso all’innovazione nella tanto vicina quanto rivale città di Siena. Qui dalla scuola di Jacopo della Quercia, scultore raffinatissimo, viene formandosi Mariano di Jacopo detto il Taccola, autore del trattato De ingeniis (1419-1449) e del De machinis (1430-1449). Nel primo, dedicato al re Sigismondo d’Ungheria, affronta i problemi dell’ingegneria, ossia quelli derivati dall’acqua e della guerra, analisi e tecniche di misurazione delle altezze e delle distanze e intreccia il suo apparato rinascimentale con lo studio e il recupero degli antichi. Nel secondo testo porta a compimento progetti abbozzati nel primo, sperimentando addirittura per la prima volta le cosiddette armi da fuoco.
Allievo del Taccola è Francesco di Giorgio Martini, che riesce a raggiungere grandi vette di tecnica e profonde conoscenze di ingegneria e architettura. Per Taccola e Martini il recupero degli antichi significa andare a leggere con attenzione Archimede e Vitruvio, ma anche Filone e Vegezio e altri autori e inventori di leggendaria memoria. Ancora una volta, come nelle arti liberali, è lo studio della cultura classica e imperiale che promuove una rinascita dell’ingegneria e dell’architettura. Questa commistione di professionalità e ambiti conoscitivi fa si che il De architectura di Vitruvio venga letto e studiato soprattutto dagli ingegneri, unendo una formazione prettamente progettuale ad una praticità d’utilizzo che sarà fondamentale anche per Leonardo. Come uomo del Rinascimento, Leonardo concepirà congegni di enorme utilità per l’uomo (inteso nel senso lato del termine), ampliando l’orizzonte dei limiti del concetto di ingegneria del Quattrocento. Compito dell’ingegnere sino alla metà del Quattrocento era solamente quello di elaborare congegni idraulici e bellici. In sintesi, progettava macchine estremamente utili per la sopravvivenza della sua città. Oltre che alla difesa della città in caso di conflitto, la manteneva costantemente rifornita di acqua, mezzo di comunicazione con l’esterno, fonte sostentamento e forza motrice.
Il sogno di Leonardo Tommaso Masini
La macchina volante
Nel mentre che Leonardo e i suoi seguaci erano impegnati nel cantiere di Palazzo Vecchio, affrescando la perduta Battaglia di Anghiari, nel suo entourage si continuava a riflettere sulla possibilità di far volare l’essere umano. Dopo essere tornato a Firenze intorno al 1504, Leonardo da Vinci si dedicò ad osservare il volo degli uccelli, traendone ottimi spunti prima per studiare ali meccaniche poi per utilizzare le stesse ali in sistemi e macchine capaci di mantenere in quota un pilota. Il colpo di genio arrivò dal cielo sotto forma di un rapace: un corrione, un uccello oggi raro in Italia, che Leonardo poteva osservare volteggiare nell’aria durante il suo soggiorno nel podere di Fiesole, luogo che permetteva un pò di riposo al maestro e agli allievi impegnati nel grande cantiere della Battaglia.
A quel tempo, nel seguito di Leonardo si trovava tale Tommaso Masini, conosciuto poi come Zoroastro da Peretola, abile lavoratore di metalli e maestro delle arti applicate, che supportava il maestro nelle tecniche chimiche utilizzate per stendere l’affresco di Palazzo Vecchio. Tommaso passerà però alla storia per essere stato il prima pilota di una macchina volante. Progettata assieme a Leonardo, che si lasciò trasportare nell’impresa di costruire un “grande uccello”, la macchina era pensata come capace di galleggiare nell’aria come un rapace e con pochi battiti d’ali sorvolare la città di Firenze suscitando lo stupore dei suoi cittadini. Per tentare questo grande esperimento venne scelto il 17 di aprile del 1506, giorno vicino alla Pasqua e al compleanno del maestro. Luogo selezionato del decollo era il Belvedere (oggi Piazzale Leonardo da Vinci) sul Monte Ceceri, tra le colline di Fiesole.
Leonardo per l’occasione scrisse addirittura un glorioso epitaffio, convinto della sua buona riuscita: “Piglierà il primo volo il grande uccello sopra il suo magno Cècero e empiendo l’universo di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture e gloria eterna al nido dove nacque”. Purtroppo conosciamo come si concluse l’esperimento: Tommaso Masini venne ritrovato intrecciato alle canne della macchina volante pochi metri più in basso. Con il fallimento dell’esperimento del volo umano e della Battaglia di Anghiari, Leonardo lasciò Firenze diretto a Roma, seguito anche da un acciaccato Tommaso Masini, che, nonostante la sua disavventura, da allora in avanti è ricordato come il primo pilota di una macchina volante.